RECENSIONI

RECENSIONI DELLA DOTT.SSA FRANCESCA MARIOTTI

LA PROFONDITA’ DELL’ESSERE Giuseppe Tarantino, un fotografo, un artista, un pittore, quindi una persona con una particolare sensibilità per ciò che lo circonda. In lui è grande la voglia di esprimere con profondità l’ESSERE del nostro vivere, attraverso monocromi che entrano nella tela, che la utilizzano per andare oltre ciò che la sola superficie non basta più a comunicare. Le sue opere vengono così realizzate in modo essenziale, con uno o due colori al massimo su cui si aprono ferite o spazi, in cui corde, stracci, bottoni sono parola e cifra per arrivare all’altro, al visitatore, al mondo. Come non vedere, fin dall’inizio della sua ricerca, una voglia di “sforare” dalla doppia dimensione e cercare fin dalla fotografia e nella pittura, la terza dimensione, come necessario apporto all’opera?! Tutto il suo percorso è improntato al gioco di ombre, al chiaroscuro, all’inserto materico, al contrasto cromatico di ciò che emerge e ciò che è immerso. Sempre una doppia immagine cercava di emergere dai suoi disegni e dai suoi dipinti iniziali, anche quelli più astratti; i pastelli e i collages, venivano evidenziati da ombre nere e colori vivaci che da esse uscivano o da griglie di segni contrastati da diverse cromie. Ed ora, nelle materiche creazioni di questo suo ultimo periodo, l’essenziale ricerca dell’emozione profonda e inconscia emerge da trame che invadono la superficie dell’opera sia entrando nella sua terza dimensione, (vedi “Oltre la superficie”), sia crescendo sulla sua area con stoffe e corde intrise di colore e materia, (come nella serie “Oggetto come materia”). In questi monocromi quindi sarà la luce a rivelare l’intimità dell’opera, mostrando le screpolature, i rialzi, le fessure ed i percorsi sempre diversi per emozioni e rivelazioni molteplici. Questa è la necessità dell’uomo e dell’artista di oggi: cercare la verità e le ragioni del nostro ESSERE, cioè del perché vivere, dandoci piccoli squarci di luce per meglio capire!

Dott.ssa Francesca Mariotti, gennaio 2007

OLTRE. Personale di Giuseppe Tarantino – Testo critico …Voi siete legati a una corda, e nell’ambito di questa corda, voi siete liberi. Oltre questo non potete andare“. (Sri Sathya Sai Baba)
E’ come se l’ artista oggi fosse alla ricerca frenetica di una direzione, di una strada che porti oltre, senza porsi il problema se debba esistere, se esista un confine. Ecco che le opere di Giuseppe Tarantino si innestano in un percorso di forte introspezione e di ricerca nelle PIEGHE DELLA VITA, le intrecciano, le superano, le attorcigliano, le tagliano e le ricuciono, legandole tra loro in un continuo gioco di rimandi e di allusioni che bene si collegano alle simbologie elementari e ripetitive del minimalismo storico. Sostenuto da un impeto inesauribile, il suo agire mostra e al contempo nasconde il cuore pulsante dell’estrosità originaria, allacciando e slacciando forme in un gioco infinito di rimandi e invenzioni. Non è necessario il capolavoro per cogliere l’idea, ne basta un granello, una scintilla in grado di accendere la fiamma nell’occhio insaziabile di visioni. È l’idea più che lo stile a riempire le menti, e la sua incalcolabile ripetizione non precipita mai nella sterilità, al contrario, dilata e stringe le sue maglie con passaggi e variazioni anche minime che, ogni volta, la coagulano uguale e diversa da sé.
Così, più iconica che narrativa, l’arte svela il gusto per la ritmicità ossessiva, l’accostamento e l’assemblaggio di materiali atipici, quali la corda e il tessuto, nonché l’inebriante vaghezza che caratterizza la ricerca di “qualcosa”, senza mai poter dire di averla raggiunta: la rappresentazione del mondo interiore. La gestualità del tessere e il funzionamento del telaio rappresentano la materializzazione di uno sguardo gettato sulla totalità. Il telaio come espressione della creazione umana si esplica infatti nella capacità di riprodurre tutti i movimenti dell’universo: il moto rotatorio, quello elicoidale, lo spostamento orizzontale, l’andatura a zig zag della trama, il sali e scendi, le vibrazioni della struttura fissa, tutti accompagnati dalla corrispondenza gestuale, espressa nei movimenti che l’artista ha compiuto per realizzare l’opera. Un rito quasi simile alla creazione di un MANDALA tibetano, esercizio di profonda meditazione e di ricerca di una propria armonia interiore, di una illuminazione sulla esistenza stessa. Non c’ è necessità di rappresentare il reale in un mondo in cui abbiamo ogni mezzo tecnico per farlo, nè di “creare” il bello, già esistente in natura, non c’è necessità di istigare strumentalmente emozioni: è necessario invece ritrovare le “nostre” emozioni, “divertirsi” a raccontare quello che la nostra mente elabora. Così l’artista si fa mezzo per riconquistare l’ESSENZA del Vivere, la fonte di tutta la nostra esistenza, che è in noi e non fuori di noi, OLTRE ogni sovrastruttura, ogni falsa divinità e falso valore, scevro dal Superfluo che ci circonda e che ci illude della sua importanza. L’arte di Tarantino è espressione di essenzialità; puramente astratta, oggettiva e anonima, libera. Come ogni pittura minimalista si esprime per monocromi, spesso adoperando tracciati e griglie, evocando il senso del sublime. La costruzione di intrecci nasconde la ricerca incessante del movimento, di un moto che porti l’artista e insieme lo spettatore alla fuga dalla realtà, all’incursione in una dimensione altra, psichica e onirica, l’OLTRE, dove lo spazio e il tempo si perdono nell’infinito. La valenza formale che Tarantino utilizza per la creazione delle sue opere è dettata semplicemente da una vera e propria esigenza di giungere al compimento dell’opera in modo essenziale e quasi ermetico. Ci ricorda il percorso di Piet Mondrian che giunse all’espressione più semplificata ed efficacie, nella ricerca di un perfetto equilibrio interiore.

Dott.ssa Francesca Mariotti

RECENSIONE DI UGO FELICI

Tarantino dimostra anche di aver ben appreso e metabolizzato le precedenti esperienze nel campo dell’Informale, penso a Burri, Tàpies, Fontana e di averle sapute rielaborare in maniera personale ed originale. Ciò è ancor più evidente nei suoi lavori a partire da “Oltre la superficie”, “Legame infinito”, “Onda”, dove si intuisce lo sforzo di liberarsi dalle limitazioni legate alla bidimensionalità della tela, per approdare ad un concetto di spazio, percepito non più come entità fisica, ma come spazio mentale, non luogo dell’opera, ma opera lui stesso, strumento di comunicazione in un epoca di inarrestabile progresso tecnologico. Compare ora anche la corda, materia di notevole valenza simbolica, filo della memoria, intreccio tra passato e presente, tramite, legame intimo e profondo col proprio io, dove il mondo esterno viene assorbito, filtrato, trasformato, per essere restituito nella sua essenza.

Ugo Felici

RECENSIONE DELLA DOTT.SSA VALERIA S. LOMBARDI

Troppo spesso ed ormai è quasi un ‘impietosa costanza quel confuso pellegrinaggio che gli artisti si sentono chiamati a fare ovvero nelle esperimentazioni plurimateriche.
Tutto questo è pressoché inammissibile perchè molto spesso dietro a questi plurimaterialismi vi è solo il vuoto formale di una ricerca che non avverrà mai.
Tutto questo dev’essere invece rivalutato e messo agli onori nel caso di Giuseppe Tarantino certo anche in lui si avverte diciamo quei più e svariati passaggi, tasti da ancor ben modulare, ma almeno in lui vi è la padronanza del farsi Arte. Un’arte splendida. Un’arte che riesce a regalare emozioni anche nelle tacite monocromie. L’unicità si compie nel varcar, tentare e osare di superare persino Lucio Fontana perchè in fondo lo stesso grande maestro aveva costituito per se stesso: l’alfa e l’omega… ma sapendo appunto superare questo limite Giuseppe Tarantino ha saputo nel suo osare: saperci finalmente regalare qualcosa che ci emoziona, che ci fa soffermare a quei equilibrati tagli,spazi di tela, dove questa non viene del tutto ablata, ma girata su se stessa. Si guardino così opere come: “Ricerca in profondità”, “Onda” dove elementi semplici quali lo spago riescono ad unire e dare una valenza al tutto. E’ bello saper inventare qualcosa di nuovo e saper sottolineare che c’è sempre ancora qualcosa di nuovo, di diverso da svolgere sull’antica e primordiale tela. Plaudo al suo guardare magari quasi ingenuo che però ha saputo creare “mostri” di alta Arte.

Valeria S. Lombardi
Dott.ssa in storia dell’arte contemporanea
laureata c/o Università Statale di Milano

CRITICA DEL PROF. GIUSEPPE NASILLO

L’itinerario lungo il quale si muove Giuseppe Tarantino si articola all’insegna di un discorso estetico connotato da un palpabile coinvolgimento suggestivo, in virtù di una intelligente confluenza di inventiva, tecnica esecutoria e risultanze dalla valenza simbolica, ottenute con l’apporto di componenti materiche che vivificano la tela di allocuzioni e metafore visive. Suo intendimento precipuo è quello di attivare una colloquialità supportata da motivate scelte esistenziali, condensate in quelle lacerazioni delle superfici attraversate da intrecci e da linee di volta in volta si rendono interpreti e rivelatrici di aperture travalicanti la mera contingenza e procedenti sotto lo stimolo di un intus legere, ossia di uno scavo in profondità, onde rinvenire l’essenza, la ragione, il nucleo primigenio della sostanza vivente. La vigilata audacia degli squarci, la calibrata misura delle fenditure, la fluida simmetria di certe bivalenze tonali, con grumi di filamenti o di modulazioni geometriche dalla pregnante, mobile architettura ottica, delineano una personalità che trasforma il momento artistico in gesto emotivo ma radicato nondimeno in una percezione del mondo che egli organizza e struttura come habitat ideale della propria magmatica effervescenza interiore. Alle sue metope eseguite con materiale composito Tarantino affida la funzione di trasformarsi da statici assunti occasionali in monadi dialoganti, con finestre che portano gli occhi e la mente oltre la limitata e limitante dimensione euclidea.

Prof. Giuseppe Nasillo

RECENSIONE DELLA DOTT.SSA ANNA SCORICARO

Giuseppe Tarantino è “l’artista delle ambivalenze passionali”. Squarcia e lega senza che mai emerga il fondo e si coalizza sul piano passionale. In lui ‘le percezioni’ sono riconoscibili nella sfera intellettiva e passionale, ragione e istinto si pongono su una stessa superficie prima divisi poi riconnessi, lasciando sempre uguale il fondo, unico e unito. Le rotture e i legami avvengono su un piano diverso da quello di fondo, segno dei rapporti umani che si rompono e si ricompongono senza alterare l’unicità di fondo, distaccandosi con pregio da scontati riferimenti artistici.

Dott.ssa Anna Scoricaro

RECENSIONE DEL PROF. ARCH. GIANLUIGI GUARNIERI

L’arte di Giuseppe Tarantino è espressione di pura essenzialità astratta. In opposizione alla mimesi , ovvero alla rappresentazione del reale, Tarantino ricerca inedite emozioni nei frammenti più reconditi dell’anima, dai quali affiorano “Legami nascosti” , e “Fragili equilibri”. Tramite i meandri di uno spiritualismo cosmico, l’artista riscopre le origini degli elementi formali che costituiscono le fondamenta sintattiche del linguaggio visivo. Ispirandosi in un primo tempo alle tematiche figurative di Paul Klee e in un secondo tempo alle esperienze artistiche di Lucio Fontana ed in particolar modo di Piero Manzoni, attua un processo di sempre più radicale semplificazioni delle forme, trovando la sua libertà formale nell’essenza di un pura dimensione minimalista. Dalle sue opere affiora una razionalità priva di riferimenti esterni, ma che ha le sue profonde radici nel mondo dell’introspezione “dell’osservazione pacata dell’universo”. In tal modo l’artista ricostruisce un nuovo universo estetico, indagando sulla vita, sulla centralità dei sentimenti, sugl’intrecci delle interrelazioni umane, sui limiti, sui confini della percezione. Corde sottese in modo verticale, orizzontale, obliquo, equilibrano con la loro massima tensione i tagli, creando legami infiniti, profondità spaziali del tutto inattese. Il colore è relegato in maniera elegante a sinfonie monocromatiche di bianco, di nero o dei due colori sapientemente accostati. Questa ricomposizione, ristrutturazione apparente dell’universo nasconde la ricerca di un “Oltre” spazio temporale che racchiude nello scrigno più profondo gemme di vitalità artistica. L’arte di Tarantino ha qualcosa di ermetico e nel medesimo istanti di gestuale; l’uomo non è dimenticato, è solo riprodotto tramite il suo moto dinamico, il suo lavoro materico.

Prof. Arch. Gianluigi Guarneri

RECENSIONI DI GIANNI LATRONICO

LA RAREFATTA SCULTOPITTURA DI GIUSEPPE TARANTINO Nodi scorsoi non legano corde aggrovigliate, ma sciolgono enigmi psichici, per rivelare l’intimo dissidio, la visione globale, l’arte eccelsa di Giuseppe Tarantino, avvincendo il fruitore e attirandolo in un labirinto di mura sottili, porte chiuse e finestre aperte. Convinto assertore della minimal art, lui ricava il massimo dal minimo, l’essenza dal superfluo, l’assoluto dal relativo, l’astratto dal figurativo, il surreale dal reale, applicando alla pittura le regole della scultura e dell’architettura, le note della musica e della poesia. Scolpendo nella luce diafana della calce viva i tratti dei personaggi famosi, gli scorci delle case murate, i profili dei paesaggi italiani, lui non aggiunge colori artificiali ai colori naturali, ma toglie gli uni e gli altri, per sottrarre materia alle cose reali e renderle rarefatte, eteree, interiori. Il bianco spago avvolge spinette, spirali, assi, rocchetti verticali ed orizzontali in un contesto di feritoie, botole, spiragli alla controra, in penombra, controluce, facendo intravedere zombi tra le quinte, manichini tra le ante, spettri tra le funi pendenti, le liane volanti, i fili diagonali. Giuseppe Tarantino prepara accuratamente le tavole, le tele, i cartoni con un massetto di cementite, di acrilico, di tempera, per poi squarciarlo in ritmi connettivi di concetti spaziali, idee stratosferiche, pensieri profondi, in un missaggio di fantasia e bizzarria, di genio e capriccio. Il nero dei suoi grumi polposi contiene in sé tutti i toni dell’arcobaleno; il bianco dei suoi intonaci ruvidi riassume in sé tutte le luci dello spettro solare; il grigio dei suoi sfondi compatti comprende in sé tutte le nuances, le sfumature, le tonalità di tutti i colori dell’universo intero. I suoi monocromi rappresentano l’inconscio, che ribolle di tentazioni rimosse e deviazioni celate, di tare ereditarie e pruriti ancestrali, sublimati nella catarsi della geometria morbida, che nasconde spuntoni, rocce, spigoli, accumulati nei secoli dalla storia dell’umanità e dell’arte. L’astrazione della realtà, il superamento della materia, il trionfo della luce vagano sulle pale mobili di Calder, sui segni semoventi di Mirò, sulle macchie cangianti di Kandinsky, per concentrarsi sul quadrato rosa shocking di Giuseppe Tarantino, in movimento perenne. I confini limitati dello spazio ristretto sfociano nell’infinito; la breve durata del tempo misurato sfora nell’eterno con la novità, l’originalità e la genuinità di immagini mai viste prima, create dal suo talento innato e rese immortali dal gesto ieratico delle sue mani ispirate.

Gianni Latronico

GIUSEPPE TARANTINO è un pittore emergente di ultima generazione, che affida al concetto spaziale l’idea di una sculto-pittura fuori dagli schemi, con porte murate e finestre aperte, assi a spirali di spago, telai a diagonali di nastro, tessuti a squarci di balconi, antine, persiane. Egli ha il dono dell’infinito, riuscendo a creare immagini immortali con la maniera concreta, il pensiero astratto, le idee pure del suo iperuranio celeste, contro tutte le vanità terrene. Spago bianco, calce viva, monocromi onirici riescono a sublimare la materia in spirito, la prosa in poesia la sculto- pittura in arte pura.

Gianni Latronico

GIUSEPPE TARANTINO entra nell’immaginario collettivo, con una nuova e sconvolgente cifra stilistica, che abbatte vecchi canoni, catene, remore, abolendo gli sgargianti colori a favore del monocromo, la tela tradizionale per assi, tavole, cartoni, aperti alle ombre del nero ed alla luce del bianco, con la calce viva dell’intonaco, la prospettiva dinamica del rilievo e la predilezione dello scorcio. Finestre aperte, porte chiuse, diagonali volanti, nuvole vaganti conferiscono movimento ai suoi quadri imballati con spago trasparente, alle sue sculto – pitture evidenziate a volte da un rosa shocking ed alle sue installazioni, per giardini in miniatura.

Gianni Latronico

TIZIANA CORDANI – LA CRONACA DI CREMONA

Strizzano l’occhio a psicologia e filosofia le creazioni concettuali di Tarantino Presso la Galleria “Immagini Spazio Arte “ espone le sue realizzazioni un giovane autore: Giuseppe Tarantino, che vi ha portato le sue realizzazioni polimateriche. Si tratta di creazioni concettuali sulla scia di Vedova, Fontana e di quanti hanno optato per l’espunzione del dato oggettivo a favore di una dimensione simbolica e aniconica aperta a molteplici interpretazioni. Ne risulta una forma artistica che attinge alla filosofia ed alla psicologia le sue ragioni e si discosta, sia nei materiali che nelle forme, dalla pittura strictu sensu. In formulazioni coercitivamente ripetute. Viene iterata la funzione del legame, attraverso un annodarsi e sciogliersi di funi che intrecciano una dimensione spaziale che si propone come metafora dell’esistenza. Si aggiungono talora passaggi di fili che tessono essi pure un percorso che unisce o disgiunge i termini di un discorso che ha certamente evidenti valenze simboliche. Il risultato non manca di una certa suggestione, che il colore nero su cui si stagliano talora i filamenti rossi delle tessiture, accentua, mettendo in risalto le diverse componenti, ora lisce ora rilevate, che solcano il supporto di fondo così come emergono con evidenza per le differente capacità di assorbire la luce gli avallamenti e le estroflessioni della tela, elemento che accomuna il Tarantino ad altri autori della medesima corrente, tutti “nipotini” delle esperienze che hanno origine negli anni Sessanta e Settanta dall’incontro tra le diverse forme artistiche astratte ed informali europee e americane.

Tiziana Cordani La cronaca di Cremona

MASSIMO CENTINI – ALTERAZIONI DELLO SPAZIO (IL CORRIERE DELL’ARTE)

Gli “sfondamenti”, i tagli, le aperture nelle opere di Giuseppe Tarantino Giuseppe Tarantino è un artista interessante che ha creato un proprio linguaggio facendo la sua lezione dei grandi innovatori come Fontana e Burri, rielaborando influenze del neoastrattissmo, fino ad avvicinarsi problematicamente alle più audaci soluzioni di quel complesso universo che per consuetudine chiamiamo avanguardia. La sua recente mostra, allestita, presso il Jolly Hotel Ligure di Torino, offre la possibilità per vedere direttamente il lavoro di questo artista che francamente suscita in noi una sottile empatia, coinvolgendoci in un meccanismo di fruizione particolarmente stimolante sul piano intellettuale. Infatti le opere di Tarantino sono “buone da pensare”, perché l’apparato poetico di fatto si sublima in una costruzione pittorica articolata intorno ad un forte desiderio di creare nuove istanze di approccio alla pittura, completamente strutturate sul processo che regola il rapporto tra osservatore e vedere. Gli “sfondamenti”, i tagli, le aperture e le altre alterazioni dello spazio che si pone come termine di riferimento tra quanto si immagini e quando di fatto si vede, sono accessi ad un mondo “altro”, forse occasioni per andare oltre l’apparenza e accedere alla dimensione dove è possibile rintracciare l’essere. Poi, come rispondendo ad un bisogno inconscio che quasi sembra trattenere la spinta verso la ricerca di un dialogo, l’artista utilizza corde e refe al fine di ricomporre le lacerazioni, ricompattare gli universi nei quali ha voluto una sorta di punto di fuga, forse una visione. Magari una speranza. Apertura e chiusura, andare e restare, liberarsi e imprigionarsi: nel gioco anche duro che l’artista ipotizza, le contraddizioni tengono banco e si fanno materia di ricerca, fingono di destrutturarsi, ma poi riappaiono più forti, sempre. Il lavoro di Tarantino offre indubbiamente a molteplici occasioni di riflessione e di scoperta: il suo è un corpus poetico che ha continuamente bisogno di misurarsi con un materiale compositivo difficile, non facilmente “aggredibile” dal fruitore privo di un minimo di preparazione o di voglia di andare oltre i ceppi delle convenzioni. L’artista ha scelto di guardare oltre, di non arrestarsi nelle facili anse in cui bordeggiare senza scossoni, con la forza garantita dall’ “effetto”; Tarantino infatti ha intrapreso la strada più irta e difficile, quella che impone al fruitore di pensare, anche di inquietarsi. Le sue opere sono effettivamente un’occasione importante per pensare la pittura e slacciarsi dai luoghi comuni: soprattutto hanno la prerogativa di essere adatte a chi è disposto a rimettere in gioco la retorica del segno, per prendere in considerazione la possibilità di ricostruirne la dialettica. “Opere aperte”, certamente sì, ma anche uno spaccato molto chiaro della volontà dell’artista di abbozzare un linguaggio nuovo, anche quando fa eco a traiettorie poetiche che hanno già scandito l’arte moderna e contemporanea. L’originalità tiene e ciò rende particolarmente gradevoli quelle opere in cui spazio e tempo si ridimensionano continuamente, seguendo le direttrici che il pittore sa cogliere nell’eterno scontro tra significato e significante.

Massimo Centini Il corriere dell’arte

RECENSIONE DI IVAN FAVALE

Essere e superficie Immaginiamo di camminare in un campo coltivato. Ci siamo alzati dal banchetto fatto di parenti e amici. Nel casolare si respira allegria, ma il vino ci ha intontiti. O forse ci ha resi più svegli e più riflessivi ad un tempo. Ad un tratto il desiderio di alzarsi. Divincolarsi da certi intrecci di sguardi. Slegarsi dal senso impoltronito delle abitudini civili, sociali e relazionali. Cerchiamo fuori, senza curarci del brivido post-prandiale, alla ricerca di un nuovo legame. Nella natura. Comunemente, quando si andava a scuola, si intendevano per natura l’alberello ed il verde, anche durante le più seccanti lezioni di filosofia. Cartesio: Cartesio è un prato, è una natura e a scuola non si arrivava mai alla fine del programma. I filosofi migliori, le storie migliori, i romanzi migliori non si studiavano per mancanza di tempo. Cartesio si. I maestri del sospetto, Freud, Nietzsche e Marx, no. Questi tre autori indagano sui buchi neri della natura. Le ombre, le immagini dietro agli alberi. Ma torniamo al nostro uomo. Cammina a perdita di orizzonte. Il casolare è ormai lontano. Non case, non oggetti. Solo una dimensionalità alterata, un respirare ed un percepire che sono tutt’uno col nostro pensare, come in un intenso cromatismo di Rothko. La nostra esistenza è un soffio mentale e un alito di esperienze. I solchi nella terra scandiscono il nostro incedere. In queste situazioni il prato, il tappeto di granuli di terra, sono una realtà nuova, percepibile secondo scansioni spaziali e temporali lente. Personali eppure universali. Immaginiamo di inciampare in questa distesa di reale. Cosa cela questo drappo di realtà cartesiana? Nasconde le tracce la cui ispezione è stata avviata dai maestri di cui sopra. C’è un bel quadro di Giuseppe Tarantino, Riscoperta della verità, e con questo centriamo l’argomento del discorso, che ci illustra, se così si può dire, la situazione che stiamo descrivendo. Lo stesso andare al di là dell’esperienza cartesiana. Oltre la superficie, dice il nostro autore. Superficiale non vuol dire negativo. In questo caso, anzi, la negazione è nell’andare oltre. Nell’esondazione. La superficie è la posizione. La tesi. Il dire. La coccinella esplora il nostro dito senza aver paura del baratro. Ispezionare la realtà, averci a che fare, con uno sguardo artistico, vuol dire percorrere il lato visibile ed avere il coraggio di inoltrarsi nella foresta nera dei significati. Transitare dalla superficie all’abisso senza interruzioni di cognizione sensibile. Il senso nuovo che si va ad indagare è una vera e propria direzione. Un “dove stiamo andando”. L’arte si interroga e lo fa senza colori a volte. Soltanto con tonalità più o meno intense di disgusto verso il guardare stolto di chi cerca una descrizione sterile del patinato. L’arte, invece, è superficie che va toccata e valicata in un processo di familiarizzazione che poi sfiorerà anche gli anfratti, le zone d’ombra. I materiali di Giuseppe Tarantino sono affabili. A volte la realtà, nelle sue opere, subisce delle ammaccature, delle distorsioni, delle influenze, delle pieghe. Il supporto, ad un certo livello artistico, è un campo nel quale si giocano importanti partite di significato. La ricerca si mantiene su fragili equilibri, tanto per rispondere ai detrattori dell’arte concettuale. Qui il senso dinamico del pensiero dell’uomo non si spegne in un tecnicismo freddo ma preserva la sua armonia musicale. La tramatura iconica di Tarantino è accostabile alla elettronica calda dei Depeche Mode e non sottomette il godimento estetico al diktat intellettuale. Lo Spazialismo aveva la sua anima furiosa. Il nostro autore, assimilata la lezione dei maestri, concede di più al gusto dell’osservazione e non ci espone al terrore dell’ignoto. Lo spago svolge un ruolo verificatore. Si insinua tra i reparti, messaggero di quella certa insolenza artistica che va a guardare sotto i tappeti. Le superfici acromatiche sono foriere di ricerche in profondità che l’uomo affronta immergendosi e riemergendo a pelo di senso. Ci si imbatte in significazioni complesse affrontate in semplicità o, al contrario, in argomentazioni limpide sottostratificate da ordinate ramificazioni. Tutto si gioca sul legame (si direbbe, per essere alla moda, “rete”) e sui rimandi che si affacciano ai nostri occhi negli spaghi dell’autore. Oltre la superficie non è la tenebra inquietante ma il possibilismo, l’incontro con un ulteriore modo di spiegare la realtà dell’essere quotidiano. La poesia è imprigionata in certi momenti di Tarantino, ma il momento che chi scrive preferisce è quello dei legami. Splendidi legami. In questo ciclo la realtà è sfibrata e ricomposta a seconda dei tiranti che ci lasciano intravedere discorsi di lacci e grinze dispieganti un alfabeto di pieni e vuoti, passibili di cambiamenti tonali, come per le corde di un’arpa metafisica. Il segno di Giuseppe Tarantino è gentile e prepotente senza che le due cose siano contrapposte. La verità non è unica e i legami sono infiniti. Il dentro e il fuori confinano e non c’è cesura netta tra essi. Questa esperienza stratificata ed in continuo movimento è un manifesto del nodo concettuale. Contemporanea capacità (e dovere) di adattarsi e rinnovarsi di fronte alla mutevole creazione/distruzione della realtà, sia materiale che ideale. Il significato dell’opera di Tarantino è, a mio avviso, nella direzione del raccoglimento e della riflessione, della articolazione condivisa di nuove soluzioni. Mi sembra un modo molto sincero di fare arte e di accostarsi alle voci della natura. L’uomo è fresco, dinamico e dopo aver stretto in mano un pugno di terra, lo porta con sé, nelle proprie tasche. Si incammina verso il casolare. Riabbraccia i propri compagni riconciliato con l’essere, perdendo ciottoli sulle mattonelle di cotto, illuminate di nuova luce.

Ivan Favale

RECENSIONI SULLE TESTATE

Il Resto del Carlino – Il Giorno – La Cronaca – La Gazzetta del Mezzogiorno – La Nazione – Il Sangone

RECENSIONI SULLE RIVISTE

Infoline notizie – Più, supplemento del quotidiano La provincia

RECENSIONI SULLE RIVISTE SPECIALIZZATE

Percorsi – Euroarte – Boè – Corriere dell’Arte

ANNUARI

Acca in arte 2008 L’ ELITE new – Selezione internazionale d’Arte 2008

LIBRI D’ARTE

“I grandi Maestri” – edizione 2007 – Centro Diffusione Arte Editore